10 novembre 2011

Alghero a.a. 2013/14. Disegno

Diversi anni fa, da studente, mi emozionò leggere un programma didattico scritto sotto forma epistolare: una semplice lettera rivolta agli studenti, totalmente priva di elucubrazioni verbose. Era un testo del prof. Francesco Tentori che tentava così d’arrivare al nocciolo della questione ovvero il dialogo che necessariamente si deve creare tra il docente e lo studente. Da allora mi sono convinto che il programma didattico istituzionale, proprio per la sua necessaria essenzialità, deve essere sopportato da parole più confidenziali. Un corso di disegno architettonico non è un monolite, soprattutto un corso breve come questo e di supporto al blocco didattico della progettazione del paesaggio, perciò vi invito ad interferire, già dal primo giorno con la mia linea didattica. Le teorie della progettazione architettonica sono disomogenee e ancor di più lo sono quelle della composizione architettonica, un pò meno lo solo le regole del disegno, ma avremo modo di parlarne. Per questo mi piace citare Adalberto Libera quando affermava che: “la vera composizione architettonica non è il comporre l’omogeneo, cioè volume con volume, colore con colore, linea con linea: è comporre l’eterogeneo. Questa è la vera composizione, la vera difficoltà, cioè la funzione insieme con la statica, insieme con l’economia, e, sì, con la suggestione o con la poetica. Combinare tra loro queste cose è la vera composizione architettonica”. La richiesta più pressante che ho da farvi è un uso quanto più accurato delle tecniche della rappresentazione. In parole povere, cercate di disegnare bene, sia la cad, che a mano, che a stecca e squadra. Mi raccomando le proiezioni ortogonali: la pianta deve coincidere con il prospetto e la sezione. Infine vi consiglio tre libri d’approccio. Sono tutti e tre agili e brevi, si collocano in uno spazio di definizione intermedio tra il saggio e il romanzo e sono: Maledetti Architetti di Tom Wolfe (Tascabili Bompiani), La Speculazione Edilizia di Italo Calvino (Mondadori) e Contro l’architettura di Franco La Cecla (Bollati Boringhieri). Buon lavoro.

"Calamità morale"

Riporto due stralci di un articolo di stampa del giorno dopo l'alluvione delle Cinque Terre e quindi precedente a quella genovese. Seppure l'editoriale descrive la condizione dei paesi dell'appennino della penisola, le medesime parole risultano calzanti anche per le condizioni interne della Sardegna:

(…) L'Italia è divisa su tutto, ma è unita dalla frane. Le frane di cui parliamo fanno scalpore perché ci sono vittime, perché un paese in bilico è a suo modo spettacolare. La frana più grande è stata la fuga degli abitanti dall'Appennino e la discesa a valle dei paesi. Come se chi fosse rimasto avesse bisogno di abitare un luogo che in qualche modo scimmiottasse la città. Praticamente ogni paese alto ha sempre una periferia lungo la strada nazionale. I paesi si sono duplicati. E quello in alto è quasi sempre un museo delle porte chiuse, un gioiello dell'agonia. Oltre alle case, è vuota anche la terra intorno.
(…) La pioggia diventa una sorta di marker tumorale, rivela impietosamente che il nostro paesaggio è malato, è malato il nostro modo sempre più autistico di abitarlo. Siccome non possiamo chiedere alle acque di placarsi, siccome non possiamo addomesticarle, allora è il caso di non prendersela coi metereologi che sbagliano le previsioni, dobbiamo prendercela con le leggi che consentono anche a chi non è agricoltore di farsi la casa in campagna. Nei piccoli paesi è rimasta poca gente e se ne vede pochissima in giro perché abitano quasi tutti in campagna, nelle case sparse. Il lavoro nei campi è stato abbandonato, ma la piantagione delle villette non accenna a diminuire.

Franco Arminio
Calamità morale
da "il manifesto" del 27/10/2011